Il Frutto del rimanere - Gv 15,1-8 | ||
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Dal Vangelo secondo Giovanni |
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Io sono la vite, voi i tralci. | Siamo nel lungo discorso di addio durante l'ultima cena; Gesù racconta la sua persona, la profondità del rapporto con il Padre suo e il rapporto con i suoi discepoli. Gesù mostra la sua identità, ma anche rivela i discepoli a se stessi. Nella relazione tra lui e il Padre e nella relazione dei discepoli con lui si concretizza il mistero della salvezza. La vite vera è il vero albero della vita che il Padre Agricoltore ha piantato nella storia degli uomini; l'uomo nel Giardino non poteva gustarne, ora ne è intimamente legato e chiamato a darne il frutto. In questo è la sua glorificazione. Forse non abbiamo una idea corretta della Gloria di Dio, l'abbiamo raffigurata nei nostri templi fatta di ori, luci e cori angelici, eppure “La gloria di Dio è l'uomo vivente” (S. Ireneo): è l'uomo chiamato a portare molto frutto. |
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Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. | L'intervento dell'Agricoltore è necessario perché il frutto sia abbondante. Questa è l'opera del Padre, lui conosce i tralci e sa come e dove mondarli, non è compito nostro. Non siamo chiamati a mortificarci o mortificare gli altri, non siamo chiamati ad arrampicarci in percorsi di elevazione spirituale, nella storia si realizza l'azione di Dio che ci monda, ci pensa lui e sa come fare. La Parola che ci è annunciata, essa stessa ha l'effetto della potatura, ha lo scopo di rafforzare l'intima unione con il tronco. Il frutto è dunque anche frutto dell'intimità con il Signore. |
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Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. | La parola "rimanere", che Giovanni qui ripete dieci volte, sembra quasi avere una dimensione statica, sembra comunicarci il senso della stabilità, tentazione a cui ogni religione tende il fianco e, storicamente, il cristianesimo non ne è immune. La relazione con Cristo, invece, è conseguenza della dinamica della Parola, che opera nel discepolo e lo spinge a seguire Lui. Senza questa dinamica relazionale il discepolo rimane solo (Gv. 12,24), il suo tralcio si inaridisce e non dà frutto. Rimanere nella Parola realizza una comunione tale con il Figlio e il Padre che possiamo chiedere qualsiasi cosa e l’amore del Padre che ci precede lo farà: è il mistero dell’obbedienza di Cristo al Padre che amano dello stesso amore che ci raggiunge e ci coinvolge. Diventare discepoli è rimanere nella vita stessa del Signore e condividerne la missione. |
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In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli | La giustizia, la pace, la fraternità, l'amore ... sembrano essere i frutti della vita cristiana, ma questa lettura moralistica non corrisponde all'esempio parabolico che Giovanni racconta. Il Frutto, al singolare, è prodotto sinergico dell'opera di Dio che toglie e purifica e la permanenza dell'uomo nella Parola che gli è stata annunziata. Il tralcio ben innestato nella vite si prolunga nella storia, attraversa lo spazio per "portare" l'unico Frutto possibile che è lo stesso Signore Gesù. Per ben sette volte Giovanni ripete l’espressione “portare Frutto”, questa è la missione del discepolo che Gesù consegna ai suoi prima di lasciare questo mondo. Più avanti dirà in modo esplicito (15,16): ”Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga”. |
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